Città Metropolitana di Milano senza medici di base: come siamo arrivati a questa emergenza
Oltre 200 mila cittadini senza l'assistenza di medicina generale, un problema sanitario e sociale le cui soluzioni immediate sono una chimera

Screenshot Fascicolo Sanitario Elettronico Non ci sono professionisti disponibili
Nella sola Lombardia mancano all'appello 1.525 medici
Nella città metropolitana di Milano la carenza di medici di medicina generale ha raggiunto livelli critici, con ripercussioni sempre più evidenti sull’assistenza primaria. Si stima che oltre 230 mila cittadini siano attualmente privi di un medico di base, con situazioni particolarmente gravi nei quartieri periferici e nei comuni dell’hinterland, dove trovare un ambulatorio disponibile è diventato quasi impossibile.
La situazione non è esplosa all’improvviso. Ha origini ben radicate e deriva da una combinazione di fattori strutturali, politici e organizzativi. Da anni il sistema sanitario non riesce a garantire un ricambio generazionale adeguato per coprire i pensionamenti, e oggi ne pagano le conseguenze migliaia di famiglie milanesi.
Pensionamenti e mancate sostituzioni: la falla nel sistema
Il cuore del problema sta nel numero crescente di medici che ogni anno raggiungono l’età della pensione, senza che ci siano abbastanza giovani professionisti disposti (o messi in condizione) di subentrare. Tra il 2019 e il 2023, il numero dei medici di base attivi nella sola Lombardia è calato in modo costante, e nei prossimi anni la situazione rischia di peggiorare ulteriormente: si prevede che entro il 2027 andranno in pensione circa 7.300 medici.
Nel frattempo, chi resta in servizio si trova a gestire un numero di pazienti sempre maggiore, con carichi di lavoro insostenibili. In molti casi, un solo medico arriva a seguire oltre 1.500 assistiti, ben al di sopra del limite ideale di 1.000.
Un mestiere che non attira più i giovani
Alla base di questa crisi c’è anche una disaffezione crescente verso la professione di medico di famiglia. I giovani medici scelgono specializzazioni ospedaliere o private, considerate più stimolanti e meglio retribuite. Il medico di base, invece, spesso lavora da solo, è oberato da pratiche burocratiche, ha responsabilità crescenti e guadagni non sempre commisurati all’impegno.
Inoltre, l’accesso alla professione non è semplice: per diventare medico di base è necessario frequentare un corso triennale di formazione, con borse di studio che fino a pochi anni fa erano numericamente insufficienti e poco attrattive. Solo recentemente si è iniziato ad ampliare i posti disponibili, ma gli effetti positivi si vedranno tra diversi anni.
Responsabilità condivise tra Stato e Regione
Le responsabilità di questa emergenza sono da dividere tra il Governo e la Regione Lombardia. A livello nazionale, la programmazione delle borse di studio per i medici di medicina generale è stata per lungo tempo inadeguata rispetto al fabbisogno reale. A livello locale, invece, sono mancate politiche incisive per incentivare l’attività nei territori più scoperti.
Per anni, infatti, si è preferito puntare sull’ospedalizzazione, trascurando la medicina territoriale, che invece dovrebbe essere la prima linea di difesa del sistema sanitario, come ha dimostrato la pandemia. Il risultato è un territorio metropolitano in cui le disuguaglianze sanitarie sono evidenti e i cittadini pagano in prima persona le conseguenze di una mancata visione d’insieme.
Soluzioni temporanee che non bastano
Negli ultimi mesi, per tamponare l’emergenza, sono stati attivati ambulatori gestiti da medici in formazione, oppure sono stati autorizzati professionisti ad accogliere un numero maggiore di pazienti. In alcune zone si è fatto ricorso anche a medici provenienti da altre regioni o stati, ma si tratta di soluzioni parziali e temporanee.
Servirebbe invece un piano strutturale: aumentare in modo stabile il numero di borse per la formazione, prevedere incentivi economici per chi lavora nei territori più scoperti, semplificare la burocrazia e rendere più attrattiva una professione fondamentale per la salute pubblica. Serve soprattutto una nuova cultura sanitaria, in cui il medico di famiglia torni ad avere un ruolo centrale, riconosciuto e valorizzato.
Conclusione: una priorità che non può più aspettare
Milano e il suo territorio non possono più permettersi di ignorare questa crisi. Ogni giorno senza un medico di base disponibile rappresenta un disagio per migliaia di cittadini, ma anche un rischio concreto per la salute pubblica. La medicina di prossimità non è un lusso: è un diritto. E lo Stato, insieme alla Regione, ha il dovere di garantirlo.
Giulio Carnevale