Intervista a Mario Calabresi, nel suo ultimo libro "Quello che non ti dicono" racconta la vicenda di Carlo Saronio
Un cognome che ha un certo peso per i comuni di Melegnano e Cerro al Lambro, ma una storia che racconta molto altro

Mario Calabresi e il suo ultimo libro a sinistra il giornalista e scrittore Mario Calabresi, a destra la copertina del suo ultimo libro "Quello che non ti dicono" sulla vicenda di Carlo Saronio
26 novembre 2020
“Quello che non ti dicono” è l’ultimo libro del giornalista e scrittore Mario Calabresi, uscito il 20 ottobre 2020, e racconta la vita e il sequestro di Carlo Saronio per cercare di restituire la memoria di un padre a una figlia che non lo ha mai conosciuto. Saronio per i comuni di Cerro al Lambro e Melegnano è un cognome che ha un significato ben specifico per via dell’ex Industria Chimica dr. Piero Saronio, ma non tutti conoscono la vicenda che ha coinvolto il figlio dell’industriale. Il 25 novembre 2020, 7giorni ha raggiunto telefonicamente Calabresi per parlare del suo ultimo libro e non solo:
Come sei venuto a conoscenza della vicenda di Carlo Saronio?
Come racconto nel libro è nato tutto da un messaggio che ho ricevuto su Facebook da parte di Piero Masolo, che è un prete missionario che sta in Algeria. Mi ha scritto questo messaggio i primi di ottobre del 2019 dicendomi che avrebbe voluto ricordare suo zio, che era stato completamente dimenticato e che era il fratello minore di sua madre, morto dopo essere stato rapito quando aveva 25 anni. Mi chiedeva una mano, se potevo aiutarlo in qualche modo a ricordarlo. Io inizialmente non conoscevo la storia, ho cercato di capire di cosa si trattasse però avevo un po’ un rifiuto a occuparmi ancora di quel periodo storico.
Quanto è stato difficile per te tornare agli anni di piombo?
Meno
di quanto pensassi. Pensavo che la fatica sarebbe stata grande, ho
avuto difficoltà ad avvicinarmi ma una volta fatto diciamo che ha
prevalso l’interesse giornalistico, quello di scoprire e dare un nome a
tutte le cose di quel periodo e a raccontare la storia di questo
personaggio per cercare di chiarirne tanti aspetti. Sulla fatica ha
prevalso quindi il lavoro di ricerca e di scavo.
Quanto lavoro di ricerca c’è dietro questo libro?
Tantissimo,
soprattutto il lavoro è stato quello di rimettere insieme tante tessere
di un mosaico che erano completamente distanti, perdute. Mi incamminavo
in una cosa in cui non sapevo bene che cosa avrei trovato e neanche
bene che cosa cercare. Ho iniziato un po’ in maniera random, prima dalle
carte familiari, poi dagli atti giudiziari e facevo dei lunghi elenchi
di nomi, telefonavo in giro cercando qualcuno che conoscesse Carlo
Saronio. Ho parlato con molte persone e chi lo conosceva mi raccontava
un pezzo di storia e poi mi rimandava ad altri nomi. Mi ha aiutato molto
il faldone riguardante la persona che lo tradisce, Carlo Fioroni, che
c’è negli archivi della Questura di Milano e che parte dal 1963 fino al
presente. Mi è servito a mettere dei punti fermi alla storia, in cui poi
incastrare alcuni tasselli. Questa è stata la prima chiave di lettura.
L’altra erano tutte le carte che erano nell’armadio della madre di Carlo
e che mi ha dato padre Piero. Due assi temporali su cui inserire tutte
le cose. Erano due racconti, quello della madre che perde il figlio e
quello dell’amico che tradisce, e lavorando su questi due inserivo le
testimonianze, le lettere, gli articoli di giornale, le fotografie, i
disegni e un po’ tutto il materiale che avevo.
Cosa ti ha effettivamente spinto a raccontare la storia di Carlo Saronio?
Quando
l’ho scoperta ho trovato fosse una storia molto emblematica degli anni
Settanta, di quei tempi feroci in cui si era persa ogni pietà di
rapporti e di umanità, e che spiegasse benissimo cosa era successo in
quegli anni. Quando un gruppo politico arriva a tradire uno di loro, un
amico, per portargli via i soldi, fa un esproprio proletario di un
amico, questo ti dice quanto l’ideologia vincesse anche sui rapporti
personali, sull’amicizia e su tutto il resto.
Com’è stato incontrare Marta Saronio?
Il
libro è partito dall’incontro con lei. Marta è una ragazza che ha
sofferto molto, ha sofferto molto la mancanza del padre, di essere nata
senza averlo conosciuto. Questo fa sì che tenda a chiudersi, non abbia
voglia di parlare, faccia molta fatica ad aprirsi e quindi ci vogliono
molta pazienza, tempo e anche sensibilità e rispetto. Io penso di avere,
però, vissuto delle esperienze e conoscere delle cose che in questo
caso mi hanno aiutato. Ho perso anch’io il padre quando ero bambino e ho
un fratello che ha la stessa esperienza di Marta, cioè è nato sette
mesi e mezzo dopo la morte di mio padre, quindi io ho sempre visto il
dolore di questo mio fratello, che si chiama Luigi come mio padre, per
non aver mai conosciuto il papà. A me e all’altro fratello dice “Voi
avete delle fotografie in cui vi tiene in braccio, fate delle cose, per
me non c’è mai stato” e questa è una cosa di cui uno non si dà pace.
Quindi io probabilmente avevo questa sensibilità per capire Marta perché
lo avevo visto vicino a me.
Pensi che le scelte di Piero Saronio abbiano in qualche modo influito su quelle di suo figlio Carlo?
Questo
noi non lo sappiamo, perché Carlo non parlava mai di suo padre; però
ipotizzo che questa voglia di espiazione che aveva Carlo e di prendere
le distanze dalla famiglia fosse una reazione a un padre che aveva avuto
grande successo nel lavoro, ma che era anche un uomo autoritario, non
democratico e con tutta una serie di ombre sulle attività delle sue
aziende e sulla devastazione ambientale. Carlo si vergognava, e lo
diceva apertamente già a tredici anni, della ricchezza paterna e del
modo in cui questa veniva ostentata.
La
vicenda di Carlo si intreccia con molte altre storie, in particolare due
riguardano molto da vicino i comuni di Melegnano e Cerro al Lambro:
quella dell’Industria Chimica di suo padre e quella di Laura Orsi.
Conoscevi queste storie? Che idea ti sei fatto in merito?
No,
non conoscevo né l’una né l’altra, le ho conosciute lavorando al libro.
La vicenda della Orsi mi ha colpito per quanto ci siano così tante
storie tragiche dimenticate e rimaste senza verità e senza giustizia.
Stessa cosa si potrebbe dire per l’Industria Chimica perché non sappiamo
ancora cosa si producesse nello stabilimento militare di Riozzo, il
posto è ancora chiuso, quindi manca verità e giustizia sarebbe fare
tutte le bonifiche. Quindi anche lì mancano verità e giustizia.
Per chi non ha vissuto quegli anni, chi è Carlo Fioroni?
Carlo
Fioroni era un pessimo prodotto dell’ideologia degli anni Settanta, una
persona che continuamente flirtava con la violenza, con le aggressioni e
con la clandestinità e nascondeva le sue imprese criminali cercando di
ammantarle di una sorta di idealismo, che però in realtà era solo
criminalità.
Alla fine di tutta questa ricerca, che idea ti sei fatto di Carlo Saronio?
Che
fosse un ragazzo molto intelligente ma pieno di ingenuità, che non
avesse gli strumenti e le chiavi di lettura del mondo e quindi in un
certo senso indifeso e influenzabile perché aveva passato così tanti
anni fuori dal mondo, dato che i genitori non lo avevano mandato a
scuola ma lo educavano in casa, e questo da un lato lo rendeva preda di
manipolazioni. Dall’altro lato, però, essendo veramente
straordinariamente intelligente forse questo gli dava il senso di essere
forte e superiore e di avere quindi la capacità di capire per tempo i
pericoli, i problemi, e di evitarli. Quindi una somma di ingenuità e di
un eccesso di sicurezza, di confidenza.
Di cosa ti stai occupando e quali sono i tuoi progetti futuri?
Porto
avanti la newsletter gratuita settimanale “AltreStorie”, che esce il
venerdì sul mio sito www.mariocalabresi.it, perché mi piace raccontare
le storie e questa idea che ogni settimana devo cercare una storia nuova
da raccontare che abbia sempre al centro una persona è una cosa che mi
piace tantissimo, poi scrivo libri e la cosa di cui mi sto occupando e
che oggi mi affascina molto sono i podcast, cioè fare dei racconti
costruiti sull’audio, sulla voce.
Oggi è stata la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne; un tuo pensiero in merito?
È
fondamentale lavorare su un cambio di mentalità ed è importante
lavorare sui bambini, sui ragazzini, perché c’è ancora una cultura di
“bullismo” maschile, di “machismo”, che non se n’è mai andata e che
andrebbe veramente curata. Credo che questo vada fatto costantemente,
anche battendosi sulle disparità, su tutte le disparità che ci sono e
che riguardano lo stipendio, il numero di donne che si siedono a fare un
dibattito piuttosto che una presentazione e tante altre. Sono tanti i
punti su cui intervenire. Io credo che questo sia davvero un cambiamento
epocale e sono contento di vivere in questo periodo perché è un’epoca
di cambiamento, se solo pensi che il voto alle donne è arrivato dopo la
Seconda guerra mondiale e prima le donne non potevano votare. Allora
sono contento di vivere in questo tempo e io che ho due figlie penso che
il mondo di domani sarà un mondo di pari opportunità più di quello che
abbiamo conosciuto.
Elisa Barchetta
Elisa Barchetta
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26 novembre 2020