Il giallo di Corso di Porta Nuova: l’omicidio che Milano non ha mai dimenticato

Un'anziana pianista venne brutalmente assassinata nel suo appartamento. Nessun segno di effrazione, pochi indizi e un colpevole che non ha mai avuto un volto. Chi ha ucciso Clotilde Fossati?

Una vita tranquilla e riservata

Clotilde Fossati, meglio conosciuta come Tilde, era nata nel 1908 a Milano, ed era una donna anziana di 80 anni, vedova da 24 anni e maestra di pianoforte. Dopo la morte del marito nei primi anni '60, continuò a vivere nell'appartamento di corso di Porta Nuova al numero 36, dove era nata e cresciuta. Viveva lì da decenni e continuava a viverci nonostante lo sfratto ricevuto nel 1984 da parte di una società immobiliare che aveva acquisito l'intero stabile. Clotilde, molto affezionata alla casa e ai ricordi che essa custodiva, si rifiutò di andarsene, dichiarando ripetutamente: "Me ne andrò solo da morta". Questa casa era l'unica che conoscesse, e vi rimase anche quando l'edificio iniziò a svuotarsi, con gli altri inquilini che si trasferirono altrove.
Clotilde era una persona molto stimata nel quartiere e benvoluta da chi la conosceva. Viveva con la pensione di reversibilità del marito, che arrotondava dando lezioni di pianoforte. Pur avendo 80 anni, era pienamente autosufficiente e conduceva una vita attiva. Aveva una cerchia di amiche con cui si vedeva regolarmente e una nipote che si prendeva cura di lei, telefonandole ogni giorno. Nonostante ciò, l’imminente sfratto era fonte di grande preoccupazione per Clotilde.
Immagine generata con AI

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Il giorno dell’omicidio

Era venerdì 10 giugno 1988 e, come di consueto, la donna delle pulizie era passata a sistemare l'appartamento di Clotilde. La mattina era trascorsa tranquillamente, e verso le 11, la donna notò l’anziana al telefono con un'amica. 
L'ultima persona ad interagire con lei fu una volontaria del centro sociale Garibaldi, che si occupava di questioni legate agli sfratti. Le due si sentirono per telefono verso le 12.30. 
Prima di questa conversazione telefonica, Tilde ebbe un breve confronto, sempre telefonico, con la geometra incaricata dalla società immobiliare che aveva acquistato lo stabile in cui viveva. Al centro della discussione, ancora una volta, il rilascio del suo amato appartamento, che continuava a procrastinare. Una conversazione senza toni particolarmente accesi, ma di certo significativa.
La geometra provò a chiamare nuovamente verso le 12.55 trovando il telefono occupato.
Quando verso le 13 riprovò, il telefono squillò a vuoto. La donna pensò semplicemente che Tilde non avesse voglia di rispondere. Tuttavia, la polizia indagò a fondo su questo dettaglio, passando al setaccio il suo alibi: poteva il timore di perdere una provvigione rappresentare un movente per l'omicidio? Le verifiche non rivelarono alcuna incongruenza, lasciando così la donna fuori dai sospetti.
Le tracce di Clotilde Fossati sembrarono svanire poco dopo la telefonata con la volontaria. Non si presentò ad una lezione di pianoforte che aveva in programma quel giorno e non avvisò l’allievo, un comportamento insolito per una donna così scrupolosa. Il telefono a casa sua suonò ripetutamente senza risposta: né la sorella Maria né la nipote riuscirono più a contattarla.
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Il ritrovamento del cadavere

La mattina seguente, sabato, la lavandaia trovò la porta esterna dell'appartamento di Tilde aperta. Non era un fatto insolito: altre volte, l'anziana donna aveva dimenticato di chiuderla a chiave, soprattutto considerando che c'era una seconda porta a vetri che forniva un ulteriore protezione. La lavandaia, senza sospettare nulla, lasciò come sempre il pacco con la biancheria pulita tra le due porte e si allontanò. 
Solo nella tarda serata la nipote, preoccupata perché non riusciva a mettersi in contatto con lei, decise di contattare i vigili del fuoco. Insieme a loro si recò in corso di Porta Nuova, ma non ebbe il coraggio di entrare. Un presentimento le fece intuire che qualcosa di terribile era accaduto. Pensò ad un malore, ma, una volta entrati, i vigili del fuoco trovarono il corpo della donna, che giaceva supino con le braccia allargate, riverso sul tappeto del salotto e con segni di coltellate al corpo e ferite alla testa. Accanto a Clotilde si trovavano un vecchio coltello da cucina con il manico privo di guancette, anch’esso sporco di sangue, ed una pesante bottiglia di vetro sfaccettato, la tipica vecchia bottiglia da rosolio. Le chiavi di casa erano infilate regolarmente nella serratura dall'interno, senza alcun segno di effrazione. L'abitazione era in uno stato di assoluta compostezza. Non vi erano segni di colluttazione, né segni di trascinamento; tutto era in perfetto ordine, come se nulla fosse accaduto. L’unico elemento fuori posto era un quadro, staccato dalla parete e appoggiato su un piccolo divano, anch'esso macchiato di sangue. Denaro ed oggetti di valore furono ritrovati al loro posto tanto che da subito fu escluso il movente della rapina. Mancava solo una borsetta color grigio perla, con dentro chiavi, documenti ed un libretto degli assegni. Alle 14,50 dello stesso venerdì uno spazzino la trovò in un cestino dei rifiuti tra via San Marco e via Moscova. L’azienda per lo smaltimento dei rifiuti la consegnò alla polizia il lunedì successivo.
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La ricostruzione dell'omicidio

La donna conosceva il suo assassino, perché gli aprì la porta e lo accolse in casa. Le prove indicarono che i due passarono del tempo insieme: sul tavolo del tinello furono trovati due bicchieri di liquore, lo stesso che Clotilde aveva offerto al suo ospite. Tilde non era una fumatrice, ma sul tavolo fu trovato un posacenere con due mozziconi di sigaretta. La donna delle pulizie confermò di aver lasciato il posacenere pulito.
Il delitto avvenne in un intervallo di tempo compreso tra le 13:00 e le 15:30. Durante l’autopsia, furono scoperte due escoriazioni sul collo, sotto gli angoli del mento, segno che qualcuno l'aveva afferrata per la gola. Nel tentativo di difendersi, Clotilde si è ferita la lingua con i denti.
La donna fu poi colpita con la bottiglia di vetro sfaccettata, ed infine accoltellata ripetutamente al petto, all'addome e al volto, fino a sfigurarla. Sarebbe stato sufficiente quel colpo fatale di bottiglia per porre fine alla sua vita, eppure l’assassino proseguì, infliggendole dieci coltellate al petto e all'addome, tre delle quali furono inferte mentre Clotilde era ancora viva. 
Il medico legale confermò che la causa della morte era stata un’emorragia interna risultante dalle coltellate ricevute. 
Nel lavandino della cucina furono trovate tracce di sangue,  segno che l’assassino si lavò le mani  prima di andarsene, lasciando poi la porta dell’appartamento socchiusa. 

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Le tre ipotesi

Gli investigatori cercarono di ricostruire cosa fosse realmente accaduto quella mattina e seguirono tre teorie principali.
Prima ipotesi: la signora Clotilde, abituata a ricevere ospiti, aprì la porta al suo assassino, ignara del pericolo. I due si sedettero nel tinello, dove Clotilde, sempre cortese ed ospitale, gli offrì da bere. L’assassino era nervoso tanto che in breve tempo fumò due sigarette. Forse era lì per chiedere aiuto, probabilmente dei soldi, ma il rifiuto della donna scatenò la sua rabbia. Non accettando il rifiuto, finse di andarsene, ma non prima di aver scelto quella bottiglia pesante, trasformandola in un’arma micidiale. Si girò e colpì Clotilde con violenza. Successivamente corse in cucina per prendere il primo coltello disponibile, colpendo ancora, spinto dal desiderio incontrollabile di assicurarsi che la vittima fosse davvero morta. Alla fine, l’assassino tornò in cucina, si lavò le mani ed abbandonò la casa.
Seconda ipotesi: l’assassino della signora Clotilde poteva non aver agito da solo. Era possibile che fosse entrato nell'appartamento con un complice, convinto che la donna avesse una buona disponibilità economica e conoscesse l'esistenza di una cassaforte nascosta dietro un quadro. Quando la signora, consapevole del pericolo, reagì rifiutando di rivelare la posizione della cassaforte, i due aggressori persero la calma, costringendola a cacciarli via. Tuttavia, uno di loro aveva già adocchiato la bottiglia di liquore presente nella stanza e con quella la colpì. Successivamente cercarono la cassaforte, spostando il quadro e macchiandolo di sangue, ma senza successo. In preda alla frustrazione, afferrarono la prima cosa che trovarono, la borsa di Clotilde, e scapparono.
Terza ipotesi: l’assassino poteva essere una donna. Questo delitto sarebbe nato da un desiderio ossessivo di ottenere qualcosa da Clotilde, forse un favore, forse denaro o forse qualcosa di più personale. L’incontro, iniziato per un chiarimento, si sarebbe trasformato in un confronto teso. Forse, Clotilde, già innervosita o leggermente alterata dall’alcol, reagì bruscamente, facendo precipitare la situazione. La scelta di portare via la borsa, poi, potrebbe essere stata una mossa deliberata per simulare un furto, depistando così le indagini. 
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Le indagini

Il fatto che non ci fossero segni di effrazione, ed appurato che la donna aveva aperto la porta volontariamente, portarono gli investigatori a sospettare di alcune persone vicine alla vittima.

Tutti gli altri inquilini si erano già trasferiti altrove, e Clotilde viveva praticamente da sola in un edificio deserto, mentre intorno a lei continuavano i lavori di ristrutturazione. In un episodio precedente, qualcuno era riuscito ad entrare nel suo appartamento e a rubare trecentomila lire. Da allora, Clotilde aveva inchiodato le finestre con assi di legno, vivendo costantemente con le luci accese, anche di giorno, a causa della paura. Pertanto non avrebbe mai aperto ad uno sconosciuto.

Le indagini si concentrarono inizialmente su due possibili sospettati: un operaio che lavorava alla ristrutturazione del palazzo e il figlio della domestica di Clotilde. Il primo, un uomo di 42 anni originario di Trani, fu uno dei pochi presenti nell'edificio al momento del delitto. Durante l'interrogatorio, ammise di essere entrato in casa di Clotilde tre volte per svolgere piccoli lavori di manutenzione, ma negò qualsiasi coinvolgimento nell'omicidio. Nonostante i sospetti, non c'erano prove sufficienti per incriminarlo: sugli abiti che indossava quel giorno non fu trovato alcun residuo di sangue. Il secondo sospettato, il figlio della domestica, frequentava cattive compagnie e fumava lo stesso tipo di sigarette trovate nel posacenere accanto ai bicchieri di liquore. Inoltre, un motorino simile a quello che utilizzava per il lavoro da Pony Express, fu visto nei pressi dell'edificio il giorno dell'omicidio. Tuttavia, anche in questo caso, non emersero prove concrete. 
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Nessun colpevole

In quegli anni la scienza forense non era avanzata come oggi. Se l'omicidio fosse avvenuto quindici anni più tardi, probabilmente il DNA dell'assassino sarebbe stato raccolto e conservato, fornendo la prova definitiva per risolvere il caso. Tuttavia, nel 1988, la polizia non aveva gli strumenti per analizzare la saliva rimasta sui mozziconi di sigaretta, o i residui sui bicchieri, ma soprattutto non aveva conoscenza di come conservare i reperti per evitare il deterioramento e permettere future analisi. Senza queste prove, le indagini si concentrarono su metodi più tradizionali: interrogatori, alibi, controlli incrociati e pedinamenti.

Nonostante lo sforzo degli inquirenti, nessuno venne mai incriminato per l’omicidio di Clotilde Fossati. Il caso fu archiviato dopo alcuni mesi, senza che venisse fatta giustizia per la morte dell’anziana pianista. Oggi, oltre 36 anni dopo il delitto, il mistero rimane irrisolto e non si è mai scoperto chi fosse l’assassino né quale fosse il movente di un omicidio così efferato.

Nel caso di Clotilde Fossati furono esaminate molte teorie, ma nessuna trovò mai conferma. Che sia stato un gesto di rabbia improvvisa, una vendetta o un atto di pura follia, il movente e l’autore di questo omicidio restano uno degli enigmi più oscuri della cronaca nera milanese.

Stefano Brigati
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