Italia crimini e misteri: "Il mostro della luna piena". Chi era l'assassino che ha scosso Parma per anni? |VIDEO|
Un serial killer, un nobile decaduto e un finale enigmatico: il "Mostro della luna piena", una storia vera che sembra uscita da un racconto di fantasia.

27 gennaio 2025
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Tutto iniziò in una nebbiosa alba autunnale del 6 novembre del 1954, quando Ermenegildo Bottazzi, un bracciante agricolo della campagna parmense, si ritrovò davanti una scena agghiacciante: il corpo di una donna abbandonato lungo un sentiero. Bottazzi, comprensibilmente scosso da ciò che aveva visto, corse immediatamente a dare l’allarme. La tragica scoperta fece presto il giro di tutti i casolari, e una piccola folla si radunò attorno al corpo, mormorando tra paura e curiosità. La donna, elegante e composta, indossava un abito nero leggero, strano particolare per il freddo novembre di Parma. Al collo aveva un foulard di seta, stretto con una tale forza da lasciare pochi dubbi sulla causa della morte.
Non vi era nessun segno di lotta e nessuna traccia di polvere sulle sue scarpe: si pensò fosse stata trasportata in quel luogo già priva di vita, ipotesi rafforzata dalla presenza di tracce di pneumatici sul terreno.
Le indagini identificarono presto la vittima: Domenica Rustici, 39 anni, originaria di Pagazzano vicino Berceto, un paesino sui monti parmensi. Da lì si era trasferita a Parma con la scusa di avvicinare i figli alla scuola, ma si era ritrovata a vivere in condizioni difficili, con un marito, il marchese Ennio Camisani Calzolari, nobile decaduto e possidente impoverito, che la raggiungeva in città solo di tanto in tanto. Domenica era una presenza nota tra i vicoli bui della città ed era soprannominata “la Signora” per il suo portamento distinto ed i suoi abiti eleganti, che la distinguevano dalle altre donne di strada. Era anche solita portare un costoso orologio, che però sul cadavere non venne trovato.
L'indagine sulla sua morte si arenò rapidamente: alcuni testimoni parlarono di una Fiat Topolino parcheggiata vicino alla scena del ritrovamento, ma le indagini su centinaia di auto simili si rivelarono inutili. Gli inquirenti furono costretti a chiudere il caso, anche se la calma fu solo apparente.
L'indagine sulla sua morte si arenò rapidamente: alcuni testimoni parlarono di una Fiat Topolino parcheggiata vicino alla scena del ritrovamento, ma le indagini su centinaia di auto simili si rivelarono inutili. Gli inquirenti furono costretti a chiudere il caso, anche se la calma fu solo apparente.

Immagine generata con AI
La mattina del Venerdì Santo, l’8 aprile 1955, il cadavere di una donna fu trovato lungo l’argine del torrente Baganza. La vittima fu identificata come Ermina Mori, 32 anni, di umili origini e una vita segnata dalla strada e dalla solitudine. Scappata dalla madre, che in paese era nota come Ilda la strega, a Parma non aveva trovato una vita migliore. Anzi, chi la conosceva la chiamava “la cagna” perché viveva come un animale in un riparo di fortuna. Il suo corpo presentava lividi al volto e una traccia rossa attorno al collo. Anche lei, come Domenica, era morta per strangolamento, e anche lei conduceva una vita difficile e ai margini. Gli investigatori cominciarono ad intravedere un filo rosso che legava le due morti: entrambe le donne erano state strangolate, abbandonate in zone periferiche ed isolate della città e, coincidenza inquietante, uccise in una notte di luna piena.

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La terza vittima fu Elide Belmesseri, detta “la Pastora” per le sue origini rurali. Anche lei veniva dalla montagna e aveva inseguito a Parma il sogno di una vita migliore. Ma, come le altre, si era ritrovata ad essere protagonista di un destino tragico, abbandonata in periferia, strangolata durante un altro plenilunio, tra il 7 e l’8 aprile 1955 in una zona frequentata dalle coppie clandestine.
Tutti elementi che condussero la polizia a parlare apertamente di un serial killer. Il terrore si diffuse presto fra le colleghe delle vittime, che raccontarono alla polizia di un uomo che frequentava abitualmente le prostitute e che spesso diventava violento e pericoloso.
Le indagini si concentrarono su numerosi sospettati, ma una figura attirò particolarmente l'attenzione: un giovane medico parmigiano, che esercitava a Noceto e che era stato già fermato in relazione alla morte di Domenica Rustici. Nonostante alcune discrepanze nelle sue dichiarazioni, l'uomo fu rilasciato per mancanza di prove. Con il passare del tempo, gli omicidi cessarono, e per oltre un decennio il mistero del “Mostro della luna piena” rimase irrisolto.

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Ma il 10 luglio1967, un nuovo delitto scosse la città: Bianca Miodini, 54 anni, soprannominata “la Bianchina”, una prostituta che usava un campanellino per attirare i clienti, fu trovata strangolata nel suo piccolo appartamento al numero 9 di borgo Merulo. Il suo assassino era stato spietato, l’aveva strangolata con un foulard lasciandola distesa sul letto con le gambe scoperte e gli occhi spalancati verso il soffitto.
Questa volta gli inquirenti si trovarono di fronte ad un colpo di scena. Un uomo che ben conoscevano: Ennio Camisani Calzolari, vedovo della prima vittima, Domenica Rustici, e ora amante di Bianchina. Questo nobile decaduto, un uomo un tempo benestante ma ora quasi ridotto alla miseria, viveva grazie al denaro che Bianchina guadagnava ogni notte.
La loro relazione aveva avuto inizio poco dopo la morte di Domenica e si era consolidato in una convivenza apparentemente tranquilla. In questo angolo nascosto di Parma, Ennio Camisani Calzolari e Bianca Miodini, avevano costruito un’esistenza dai confini ambigui, tra lavoro e vita privata. La palazzina che condividevano era tanto il luogo in cui Bianchina accoglieva i suoi clienti quanto il rifugio che i due dividevano, al piano superiore, in un modesto appartamento di tre stanze. Ogni sera, dopo aver terminato il turno, Bianca risaliva le scale per raggiungere Ennio.
La notte dell’11 luglio 1967 sembrava inizialmente seguire la stessa routine: Bianchina si concesse una breve uscita al bar dove incontrò un’amica, per poi rientrare nel suo stanzino. Qui si cambiò, indossando una vestaglia a fiori. Quella notte, Ennio riferì agli inquirenti di essersi coricato presto e di essersi svegliato intorno alle 2:30, l’orario in cui era solito sentire rientrare la compagna. Quella volta, però, il silenzio prolungato lo portò a scendere al piano terra, dove una lieve striscia di luce filtrava dalla porta del piccolo studio di Bianca. Interpretando quella luce come segno di una visita ancora in corso, Ennio tornò a letto, rimanendo convinto che Bianchina fosse ancora in compagnia. Solo al mattino scoprì la verità: il corpo senza vita della donna, riverso nel suo stanzino.

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Verso le 11.00 si recò in Questura per denunciare l’accaduto, ma il suo comportamento attirò subito l'attenzione degli inquirenti. Gli agenti, insospettiti da alcune discrepanze nel suo racconto e dalla circostanza della morte di due donne a lui così vicine, decisero di trattenerlo per ulteriori indagini. Sin dai primi momenti dell’interrogatorio, Ennio si affrettò a rivendicare i risparmi di Bianchina, una cifra considerevole di tre milioni di lire. Inquietante, per i familiari della donna, che l’uomo si fosse preoccupato più del denaro che della sua perdita. Tra i dubbi e le perplessità, emerse anche un nuovo collegamento con un altro delitto, quello di Nora Casini, prostituta reggiana uccisa con una calza di nylon. Lo schema appariva troppo simile per essere ignorato: più donne strangolate ed abbandonate in scenari solitari.
Ennio fu condotto al carcere giudiziario di San Francesco con l’accusa di omicidio e sfruttamento della prostituzione. Durante gli interrogatori, Camisani aveva mantenuto un atteggiamento calmo, ma, di fronte al pubblico ministero, cambiò versione ben tre volte. In un tentativo di difesa disperato, fece una mezza ammissione, sostenendo che forse aveva soffocato involontariamente Bianchina, cercando di rianimarla durante un massaggio. Tuttavia, la perizia necroscopica smentì questo racconto, e Camisani ritrattò nuovamente, ritornando alla prima versione fornita ed affermando di aver trovato il corpo della donna al mattino, poco prima di recarsi a denunciarne la morte.
Il processo, tenutosi nell’ottobre del 1968, si concluse con un’assoluzione per insufficienza di prove. Sebbene fosse stato scagionato dall’accusa di omicidio, l’uomo ricevette una condanna minore, un anno e sei mesi, per induzione e sfruttamento della prostituzione.

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Dopo tredici mesi di detenzione, il 12 gennaio 1969, Ennio venne scarcerato, facendo ritorno al suo paese natale di Roccaprebalza.
La madre di Ennio, già anziana e provata, morì all'inizio del 1970, lasciandolo solo in una casa ormai deserta, in compagnia solo dei ricordi di un passato tormentato. Con il passare degli anni, Ennio, quasi cieco e in povertà, presentò domanda per essere ospitato in una casa di cura, dove in cambio avrebbe donato tutto il poco che possedeva. Non ebbe, però, il tempo di trasferirsi.
Il 3 marzo 1973, Roccaprebalza si svegliò sotto una lunga colonna di fumo nero. La casa dei Camisani era avvolta dalle fiamme, e i pompieri trascorsero ore cercando di domare l'incendio. Alla fine, trovarono il cadavere di Ennio sulla rampa finale delle scale. Il referto autoptico fu breve e diretto: morte per avvelenamento da monossido di carbonio. I giornali parlarono di un "decesso misterioso", e non pochi tra gli abitanti della zona si interrogarono su questa morte.

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Ennio Camisani Calzolari era il “mostro della luna piena”, il responsabile degli omicidi che avevano scosso Parma per anni? Il fatto di essere stato il marito della prima vittima e l’amante dell’ultima appariva come una stranissima coincidenza. Tuttavia, c’era un dettaglio cruciale: i corpi delle vittime venivano trasportati e abbandonati in campagna, e l’uomo non possedeva nessuna automobile. Si trattava pur sempre di tempi in cui non tutti potevano permettersela. Il giovane medico invece, sospettato per almeno due degli omicidi, possedeva un’automobile che per tipologia e modello sembrava essere compatibile con le poche testimonianze raccolte dagli inquirenti. Sorsero quindi nuovi interrogativi: Ennio sapeva chi fosse l’assassino e aveva scelto di coprirlo in cambio di qualche beneficio? Le sue richieste erano diventate troppo pressanti rendendo Ennio stesso un bersaglio? Oppure l’uomo era un complice del vero assassino, un potenziale testimone scomodo, che finì per diventare la sesta vittima del "mostro della luna piena”?
La verità su quell’incendio e sugli omicidi si perse nelle pieghe del tempo, lasciando solo un mistero irrisolto che ancora oggi getta lunghe ombre sulla città di Parma.

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27 gennaio 2025