Sinistra radicale nervosa, sta perdendo il monopolio del "25 aprile": chi semina odio e intolleranza tradisce quei valori

La Liberazione del 1945 fu dalla dittatura fascista. Quella di oggi, se vogliamo davvero onorarne lo spirito, deve essere una liberazione dalla narrazione imposta, dall’arroganza di chi seleziona i “buoni” e i “cattivi” a seconda dell’appartenenza politica, e da chi, in nome della memoria, continua a coltivare odio.

Ogni anno, quando si avvicina il 25 aprile, puntualmente assistiamo alla stessa liturgia: proclami, striscioni, cortei, comizi infuocati, cori contro le istituzioni e simboli di una sinistra che, più che celebrare la Liberazione dal nazifascismo, sembra voler rivendicare il monopolio ideologico su una pagina storica che appartiene a tutti gli italiani.

Non è un caso che i toni si stiano facendo sempre più accesi: è il segno che quel presunto predominio culturale e politico, esercitato per decenni senza contraddittorio, sta venendo meno. Si aggrappano con crescente nervosismo a una narrazione esclusiva della Resistenza, come se recriminassero malinconicamente e di continuo un'occasione mancata per traghettare l’Italia da una dittatura fascista a una nuova forma di feroce totalitarismo rosso: il paradiso comunista. E infatti, le prove generali di quella visione autoritaria furono già messe in atto in Istria, Fiume, Dalmazia, e in molti degli eccidi avvenuti a guerra conclusa in tutta Italia, in un clima di vendetta che nulla aveva a che vedere con la giustizia o con la libertà.

Per decenni la retorica antifascista è stata usata come un’arma ideologica per giustificare qualsiasi cosa: violenze, soprusi, silenzi comodi su crimini compiuti da chi si diceva “dalla parte giusta”. Ma la realtà, oggi, è sotto gli occhi di tutti. La memoria collettiva sta mutando: inchieste giornalistiche, studi accademici, la desegregazione degli archivi degli stati ex comunisti, stanno facendo breccia e stanno svelando le ipocrisie di chi rincorreva il sogno comunista fra crimini e menzogne.

La sinistra che non sostiene la Resistenza ucraina contro un’invasione armata, è la stessa che fischia e aggredisce la Brigata Ebraica, durante la sfilata del 25 aprile a Milano. È la stessa che giustifica  e legittima i centri sociali che devastano le città, aggredendo forze dell’ordine e danneggiando le proprietà altrui. È la stessa che elegge un deputato che difende chi occupa case popolari destinate a famiglie fragili. È la stessa che non nasconde più la propria simpatia verso il terrorismo islamista, fingendo di non sapere chi è Hamas. È la stessa che tace sui trafficanti di uomini, elevandoli a nuovi eroi di una resistenza posticcia, mentre si arricchiscono sulla pelle di disperati.

E allora viene da chiedersi: chi sono davvero i nemici della democrazia? Chi distrugge le piazze in nome dell’antifascismo, chi grida alla dittatura per ogni provvedimento del governo legittimamente eletto, chi inneggia alla violenza contro le istituzioni repubblicane, non può pretendere di rappresentare i valori del 25 aprile. Li tradisce. E li strumentalizza.

È accaduto persino con il lutto nazionale per la scomparsa di Papa Francesco, momento di dolore e raccoglimento per milioni di fedeli in tutto il mondo. Alcuni esponenti della sinistra non hanno esitato a utilizzare questa vicenda, come pretesto per sobillare le piazze contro il governo, alimentando risentimento e odio politico. Una strumentalizzazione vergognosa, che rivela quanto poco rispetto abbia certa sinistra per la figura del Papa, per il dolore umano e per le istituzioni.

Ma la sinistra che oggi chiede rispetto e inclusività è la stessa che, nel 2008, impedì a Papa Benedetto XVI di parlare all’Università La Sapienza di Roma. Un Pontefice, un uomo di cultura e spiritualità, fu messo alla porta con il benestare di docenti e studenti politicizzati, sostenuti da rappresentanti delle istituzioni di sinistra. È lo stesso copione che si ripete ancora oggi, quando nelle scuole e nelle università italiane viene sistematicamente negato il diritto di parola a chi non si allinea con la loro visione. Libertà di pensiero? Pluralismo? Parole svuotate di senso, che servono solo a coprire un’intolleranza profonda verso ogni voce fuori dal coro.

Ed è proprio da qui che dovrebbe partire una nuova Liberazione: quella dell’Italia dal giogo culturale dell’ANPI, che per anni ha agito come custode geloso di una memoria collettiva trattata come fosse proprietà privata. Sempre più sindaci stanno alzando la testa. Sindaci con i “tommasèi”, cioè con il coraggio di dire basta all’egemonia di chi pretende di riscrivere la storia secondo una sola chiave di lettura. A Porto Mantovano, la sindaca Maria Paola Salvarani è stata chiara: il 25 aprile è una celebrazione istituzionale e non può diventare un palcoscenico esclusivo per l’ANPI. Una posizione semplice, logica, eppure rivoluzionaria nella sua chiarezza.

Non è un caso isolato. In tutta Italia crescono gli amministratori locali che non vogliono più piegarsi ai diktat ideologici. È il segno che qualcosa sta cambiando. La Liberazione del 1945 fu dalla dittatura fascista. Quella di oggi, se vogliamo davvero onorarne lo spirito, deve essere una liberazione dalla narrazione imposta, dall’arroganza di chi seleziona i “buoni” e i “cattivi” a seconda dell’appartenenza politica, e da chi, in nome della memoria, continua a coltivare odio.
Giulio Carnevale